Il corso di analisi matematica 2. Come affrontare lo studio teorico e la preparazione dell'orale
Lo studente che affronta il corso di analisi 2 si aspetta probabilmente un corso in qualche modo simile ad analisi 1, che ne prosegue il discorso con lo stesso stile e forse con contenuti più impegnativi. In realtà ci sono differenze importanti tra i due corsi, dal punto di vista dello stile dell'esposizione (parlo naturalmente per come io tengo questo corso, anzitutto, ma credo che almeno alcuni aspetti siano abbastanza condivisi).
Il corso di analisi 1 è il primo corso matematico universitario; ha il problema di fornire un certo tipo di "azzeramento" agli studenti riguardo ai prerequisiti; deve anche introdurre i concetti fondamentali dell'analisi (limite, derivata, integrale), quindi ci si sofferma molto sulle definizioni di questi concetti, e su certi risultati "fondazionali" (proprietà dell'estremo superiore e sue conseguenze...). Si dimostrano molti dei teoremi che si enunciano. Si mostra il significato geometrico-fisico dei concetti fondamentali, ma non si arriva a fornire molte vere e proprie applicazioni significative dell'analisi.
Il corso di analisi 2, invece, parte da un background ben definito (il corso di analisi 1), non deve "azzerare" nulla; utilizza i concetti fondamentali dell'analisi, già noti, per costruirne altri più complessi ma in qualche modo simili (dalle funzioni di una variabile a quelle di più variabili, ad esempio). Non si incontrano molti aspetti "fondazionali". Si toccano numerosi argomenti diversi (più di quanti si incontrino in analisi 1), quasi tutti dotati di tante e significative applicazioni fisiche (equazioni differenziali, campi vettoriali, serie di Fourier...). Perciò si insiste molto sul significato fisico di certi concetti. Per contro, si dimostrano meno teoremi: alcune dimostrazioni che si omettono sarebbero molto lunghe e difficili e forse insegnerebbero allo studente meno di quanto accada in analisi 1. Si ha così l'aspetto di un corso più pragmatico, meno teorico, meno astratto. In questo c'è effettivamente qualcosa di vero (e lo studente di ingegneria probabilmente apprezzerà queste caratteristiche), tuttavia lo studente non deve cadere nell'equivoco di ritenere che il corso di analisi 2 si riduca ad una serie di ricette operative da acquisirsi (tanto per cambiare) con tanti esercizi. In effetti, l'analisi 2 richiede allo studente molto spirito critico "teorico", che però si esprime in modi un po' diversi da come accadeva in analisi 1. Segnalo qualcuno di questi aspetti, perché lo studente ne sia avvertito in partenza e vi presti la dovuta attenzione.
1. Come già detto, in analisi 2 si toccano numerosi
argomenti, si introducono numerosi concetti.
1.a. Comprendere le definizioni dei concetti incontrati, ricordarle
e saperle scrivere ed esporre oralmente senza confusioni e con
precisione è quindi fondamentale, e non è scontato. Richiede,
nell'arco del corso e prima dell'esame, un continuo lavoro di ripasso e
sintesi critica, comparando concetti simili ma differenti, per
distinguerli bene. (Qualche esempio -che sarà compreso proseguendo
nello studio-: come si definisce un integrale di linea di prima specie
e come si definisce uno di seconda specie? Come si scrive la
definizione di derivabilità o differenziabilità per una funzione di più
variabili a valori reali? E per una di una sola variabile a valori
vettoriali? E per una di piè variabili a valori vettoriali? Come si
definisce l'integrale doppio di una funzione definita su un rettangolo?
E se invece è definita su un dominio generico?).
1.b. Un aspetto, ingiustamente molto sottovalutato da
tanti studenti, di questa padronanza di concetti e definizioni, è la precisione
del linguaggio e del simbolismo. Non si possono scrivere un vettore
e uno scalare allo stesso modo; lo stesso vale per una funzione a
valori reali o vettoriali; il simbolo di derivata parziale non può
essere confuso con quella di derivata ordinaria; un insieme nel piano
non si può chiamare "intervallo", e un integrale doppio non si può
scrivere col simbolo di integrale semplice. Sono solo esempi, di nuovo,
che vogliono trasmettere un'idea generale: linguaggio parlato, scritto
e simbolico vanno appresi e costantementi esercitati con accuratezza.
Questi primi aspetti sono parte della consapevolezza critica di ciò
di cui si parla. Se ben curati, aiutano il ragionamento, suggeriscono
risposte corrette e aiutano a non cadere in certi errori. Trascurarli
come inutili pedanterie è come guidare con pneumatici lisci e freni
guasti: per non uscire di strada ci vuole fortuna.
1.c. Un aspetto logico (a cui per la verità lo studente
dovrebbe già essere abituato dall'analisi 1, ma non sempre è così) è
l'attitudine a distinguere una definizione da un teorema. Può
sembrare ovvio, ma molto spesso, ad esempio, alla domanda "dare
la definizione di funzione di piò variabili differenziabile" lo
studente risponde enunciando un teorema che dice che, sotto certe
ipotesi, una funzione è differenziabile. Occorre non lasciarsi sviare
dal linguaggio comune: la domanda "Quando una funzione è
differenziabile?" in effetti è ambigua: si sta chiedendo di dire quando
lo è per definizione, oppure sotto quali condizioni si può
dimostrare che lo è? A volte nel fare esercizi sembra che le
definizioni non servano; perciò rischiano di rimanere sullo sfondo,
finché le si dimenticano del tutto. Il risultato è che alla fine
non si sa più di cosa si sta parlando. Perfino dei teoremi, di cui
magari si ricorda l'enunciato, non si sa più spiegare il significato:
se non ricordo cosa vuol dire che una funzione è differenziabile, cosa
mi serve sapere che "se ha derivate parziali continue in un aperto,
allora è differenziabile"?
2. In analisi 2 capita di dare un inquadramento teorico
generale a certi argomenti, per poi particolarizzare il discorso a
certe classi di problemi molto speciali per cui si sa dare una
risoluzione esplicita. Ad esempio: si parla di equazioni differenziali
lineari, e poi si impara a risolvere esplicitamente quelle per cui
l'equazione omogenea ha coefficienti costanti; si parla di
ottimizzazione di funzioni reali di più variabili e poi si fanno
esercizi per quelle di due variabili; ecc.
2.a. Allo studente è chiesto di non appiattire la
trattazione teorica generale a quella classe di problemi che si sanno
risolvere esplicitamente. Ad esempio: non perdere di vista il
fatto che certe proprietà valgono per tutte le equazioni lineari, non
solo per quelle a coefficienti costanti (che si sanno risolvere);
non perdere di vista che certe relazioni tra proprietà della matrice
hessiana e natura di un punto critico valgono in qualunque dimensione,
anche se noi risuciamo a studiare "comodamente" un'hessiana solo se
siamo in due variabili. In altre parole: occorre studiare, comprendere
e trattenere quel discorso "per cerchi concentrici" che stabilisce
prima princìpi generali validi per ampie classi di problemi, e poi via
via particolarizza il discorso a classi di problemi più facili e
trattabili. Questo, oltre ad essere utile per comprendere veramente
l'analisi 2, è la condizione perché questa possa essere realmente utile
nel seguito degli studi, quando si incontreranno anche situazioni più
generali.
2.b. Similmente, lo studio di come si risolve
operativamente un problema non può limitarsi alla memorizzazione della
procedura stessa (ricetta pronta) ma deve comprendere lo
svolgimento teorico (argomentazioni, dimostrazioni....) che ha portato
a fissare quella procedura. Ad esempio la procedura di risoluzione di
un'equazione differenziale, o la procedura di ricerca dei punti di
massimo e minimo di una funzione, va studiata con tutta la catena
logica dimostrativa che ha evidenziato che "è così che si fa". Anche se
per fare un esercizio sembra che questo non serva, all'orale è
richiesto, e comunque non si ricorderà a lungo una procedura di cui non
si ha un'idea del perché sia valida.
Tutto questo, come dovrebbe apparire chiaro, ha molto a che fare con
lo studio della teoria, anche se ancora non abbiamo parlato di
"dimostrazioni dei teoremi".
3. Veniamo ora anche a questo aspetto, spesso considerato "la
bestia nera" nella preparazione dell'orale: lo studio delle
dimostrazioni. Molti studenti pensano che il difficile di un orale
di matematica sia ricordare le dimostrazioni; così trascurano tutto
quanto spiegato sopra (le definizioni, la precisione di simboli e
linguaggio...) e cercano di impadronirsi mnemonicamente delle
dimostrazioni. Il risultato è che su queste ultime rivelano
inevitabilmente la loro fragilità, che non è nemmeno compensata da una
padronanza generale del discorso. Invece, lo studio della teoria è
anzitutto studio, comprensione critica e assimilazione di definizioni,
concetti, esempi e contresempi, relazioni tra concetti (espresse
dagli enunciati dei teoremi), il tutto formulato con linguaggio e
simbolismo preciso, e seguendo un ordine logico e un "sommario" che
dev'essere anzitutto quello dettato dal programma d'esame e dal
libro di testo, non dai propri appunti e riassunti. (Questi ultimi per
essere utili devono piegarsi a quanto dettato dai primi: programma
dettagliato e libro di testo). La dimostrazione è allora una ciliegina
sulla torta. Una volta che la si è veramente compresa, una volta che si
sa bene di cosa si sta parlando, quindi si ha chiaro che cosa si sa per
ipotesi e che cosa si vuole dimostrare, una volta che il linguaggio è
preciso e sicuro, non sarà così difficile anche ricordare i passaggi
delle dimostrazioni. Ma se si parte mnemonicamente da lì, non si arriva
a nulla.